I fenomeni di dipendenza chiamano in causa non solo le dinamiche della sofferenza e del dolore, ma tutti i processi di valutazione e valorizzazione del Sè, della propria identità e della progettualità esistenziale.

La scelta di “come essere” diventa la scelta di cosa indossare, comperare, giocare o di come navigare.

Il soggetto dipendente, in questo senso, si priva della propria libertà per dare una falsa e controproducente risposta alla propria sofferenza e ai propri bisogni di valorizzazione, autostima, sperimentazione di sè, identità.

Le compulsioni (la ripetizione forzata di alcuni comportamenti, la ricerca spasmodica e insaziabile di cose da possedere, di soldi da vincere, di esperienze elettrizzanti ecc.) sono il segno visibile di una sofferenza male affrontata, sfidata e non compresa, combattuta con mezzi impropri e inadatti.

La persona cerca un Sè migliore, il successo, l’abbattimento dei limiti, la scomparsa di subordinazione, depressione, solitudine, trauma.

Ogni dipendente è il prodotto di una nuova interpretazione di sè, verosimilmente migliore, dopo l’incontro con l’oggetto della dipendenza.

Vi è sempre una discrepanza e dissonanza tra concetto di sè e scopi e desideri. Sono persone “sconosciute a se stesse”, non riconoscono dinamiche interiori fondamentali e tendono ad aggravare circuiti viziosi, produttori di sofferenza, per sfuggire ai quali avevano scelto il comportamento di dipendenza (in una situazione paradossale).

In mancanza di una reale soluzione alternativa, le dinamiche interne vengono coperta e cronicizzate, impedendo il cambiamento, temuto ma auspicabile.

Che l’oggetto sia rappresentato dal cibo, dall’alcol, dal gioco, dallo shopping, la constatazione è che, facendo grandi promesse, rende incapaci di utilizzare, per raggiungere i propri scopi, le risorse che contano: quelle mentali, bloccando la persona e alienandola.

Il vestito comprato e ricomprato per colmare un vuoto di senso, quel gioco tentato e ritantato fantasticando di avere la meglio sul senso di frustrazione imposto da limite e mancanza, quelle ore trascorse davanto al computer, desiderando di far parte di uno spazio infinito, dove tutto sembra possibile e si può essere altro da ciò che si è.

Tutto lascia intravedere la ricerca di un’identità più stabile, di un Io meno fragile, di un senso di sè più coeso, di un nirvana perduto, dove non conoscevano separazione e dolore.

Costellazioni di sintomi che portano l’individuo a girare su se stesso, reiterando comportamenti sempre uguali, alla ricerca di un godimento sempre identico, che porta sofferenza aggiuntiva e rende schiavi di una presunta quanto paradossale libertà.

La libertà da ricercare è quella di essere se stessi, imparando a dialogare e a mettere in relazione i diversi piani dell’edificio psichico.

Il confronto critico con il dolore è il punto fondamentale di svolta di ogni progetto psicoterapeutico.

(Estratto da: Pani R. e Biolcati R. (2006). Le dipendenze senza droghe. UTET Università).

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