La trance dissociativa da video terminale è un’esperienza in cui un individuo, catturato dal gioco o dall’attività telematica a cui si dedica, ne rimane “posseduto” fino a perdere il controllo di sé e della realtà circostante. Trattasi di un’alterazione dello stato di coscienza dove l’individuo perde il contatto con la realtà fino al ritorno alla condizione normale, accompagnato da amnesia.

Secondo Carretti, la trance dissociativa da videoterminale è uno stato involontario di trance legato alla dipendenza patologica dal computer e caratterizzato da un’alterazione temporanea marcata dello stato di coscienza, oppure perdita del senso dell’identità personale con rimpiazzamento o meno di un’identità alternativa che influenza e dissolve l’identità abituale.

Dallo studio epidemiologico condotto da Zanon et al. Su 220 soggetti di età compresa tra i 20 e i 42 anni, reperiti off line, sono emersi importanti risultati. L’ipotesi di partenza del gruppo di lavoro era l’idea che esistessero delle differenze nei livelli di integrazione della coscienza tra coloro che utilizzano Internet in modo assiduo e costante e coloro che ne fanno un uso moderato o non lo utilizzano. Si è riscontrata un’associazione tra uso di Internet e disturbi dissociativi, seppur non sia stata stabilità alcuna relazione di causa-effetto. E’ emersa una maggiore tendenza a un difetto di integrazione della coscienza in colore che utilizzano la chat line come servizio di Internet, rispetto a colore che non si servono di questa applicazione.

Questi luoghi virtuali, rappresentati dalle chat, permettono alle persone di incontrarsi in modo casuale e facilitano lo svilupparsi di fenomeni regressivi e dissociativi che portano alla creazione di nuovi personaggi con cui ci si identifica. Queste esperienze dissociative, come per esempio il gender switching, sono comuni e portano l’individuo a cambiare se stesso, talvolta la propria condizione socioeconomica, il ruolo, l’identità.

E’ probabile che certe applicazioni di Internet abbiano una natura più addictive di altre, ed è ipotizzabile che la caratteristica dell’interattività comporti una tale gratificazione da innescare un comportamento di rinforzo dell’attività, più di quanto non si verifichi avendo ruoli più passivi. Nello studio sopra menzionato, i soggetti che utilizzano le chat hanno ottenuto i livelli di dipendenza più elevati rispetto a chi non si serve di dell’applicazione.

Chi agisce sulla Rete con finalità ben precise, di lavoro o altro, ha presentato livelli di dipendenza nettamente inferiori.

Le innovazioni tecnologiche più avanzate, nella vita quotidiana, stanno spingendo le cose in un’unica direzione come sostiene Caretti:” quella di formare nuovi atteggiamenti relativi alla costruzione dell’identità e della vita psichica in genere, ma anche quella di favorire ulteriori opportunità di dipendenza patologica e di regressione quando, in particolari condizioni patologiche pregresse, si verifica l’immersione coatta nel virtuale”.

(Estratto da: Pani R. e Biolcati R. (2006). Le dipendenze senza droghe. UTET Università).

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